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 CANZONIERE DEI PARCHI ACQUATICI di Alessandro Gori. Definirlo un libro di poesie è riduttivo, definirlo anche lo è, ma io proverò lo stesso a farlo, perchè come direbbe lui: “Mi (g)arba parecchio“
CANZONIERE DEI PARCHI ACQUATICI di Alessandro Gori. Definirlo un libro di poesie è riduttivo, definirlo anche lo è, ma io proverò lo stesso a farlo, perchè come direbbe lui: “Mi (g)arba parecchio“ “La fine di una storia d’amore segna l’inizio di una bruciante ossessione, quella del protagonista per Stefania, la donna che l’ha lasciato mettendolo di fronte all’abisso della sua mascolinità tossica. Ma in un moto di orgoglio, anziché fare un po’ di autocritica, l’uomo si abbandona a un flusso di coscienza composto da 137 riflessioni scorticate che, più che una raccolta di poesie, fa pensare all’autopsia di un amore in 137 episodi. In un crescendo parossistico, la voce di Gori si rifrange in un trascinante monologo a più voci, il canto del cigno di una personalità scissa che si frantuma in una serie di schegge impazzite, fino a ricomporsi in un mosaico di gloriosa bellezza“.
 
 
 
Davanti a cotanta descrizione sono stato costretto a correre dal mio libraio di fiducia chiedendo, come fossi un “tossico anni ’70 col baffetto” (non me ne voglia il buon Simone Avincola se gli ho rubato la connotazione goriana): “Che c’hai ‘na copia del Canzoniere” omettendo il resto del titolo.
Quando l’ho visto tornare con una copia del Petrarca, l’ho invitato a crescere e a maturare la sua visione di Rerum Vulgarium Fragmenta, dato che da oggi sarebbe andato per la maggiore l’Acqua Parcum Fragmenta, comunemente conosciuto con il nome di «Canzoniere dei parchi acquatici».
Scusandosi per l’accaduto e bofonchiando sterili scuse, tipo:
«Ho fatto ragioneria e il latino non lo so», me ne sono andato stringendo tra le mani il nuovo esilarante libro di poesie dell’eccellentissimo Alessandro Gori.
“La fine di una storia d’amore segna l’inizio di una bruciante ossessione, quella del protagonista per Stefania, la donna che l’ha lasciato mettendolo di fronte all’abisso della sua mascolinità tossica. Ma in un moto di orgoglio, anziché fare un po’ di autocritica, l’uomo si abbandona a un flusso di coscienza composto da 137 riflessioni scorticate che, più che una raccolta di poesie, fa pensare all’autopsia di un amore in 137 episodi. In un crescendo parossistico, la voce di Gori si rifrange in un trascinante monologo a più voci, il canto del cigno di una personalità scissa che si frantuma in una serie di schegge impazzite, fino a ricomporsi in un mosaico di gloriosa bellezza“.
 
 
 
Davanti a cotanta descrizione sono stato costretto a correre dal mio libraio di fiducia chiedendo, come fossi un “tossico anni ’70 col baffetto” (non me ne voglia il buon Simone Avincola se gli ho rubato la connotazione goriana): “Che c’hai ‘na copia del Canzoniere” omettendo il resto del titolo.
Quando l’ho visto tornare con una copia del Petrarca, l’ho invitato a crescere e a maturare la sua visione di Rerum Vulgarium Fragmenta, dato che da oggi sarebbe andato per la maggiore l’Acqua Parcum Fragmenta, comunemente conosciuto con il nome di «Canzoniere dei parchi acquatici».
Scusandosi per l’accaduto e bofonchiando sterili scuse, tipo:
«Ho fatto ragioneria e il latino non lo so», me ne sono andato stringendo tra le mani il nuovo esilarante libro di poesie dell’eccellentissimo Alessandro Gori.
