Racconti

«Pinocchio e il capitolo che non c’era una volta», perchè se pensavi di aver letto tutto sul burattino più famoso del mondo, forse non sapevi che…

«Cosa accadde la notte in cui Pinocchio da burattino si trasformò in bambino?» Un capitolo inedito e clandestino della favola più famosa del mondo.

Pinocchio e il capitolo che non c’era una volta di Alberto Fiori «Pinocchio e il capitolo che non c’era una volta», il mio primo libro. L’amore che provo per ogni sua pagina è indescrivibile. Ero impegnato nell’editing di quello che si sarebbe dovuto trasformare nel mio romanzo d’esordio, quando la persona con la quale stavo correggendo quelle pagine (Lina Monaco), mi disse che, come casa editrice (Ifix), stavano progettando una nuova collana di libri per bambini (Juvenilia). Il processo della ‘trasformazione’, attraverso i personaggi delle favole che più hanno sofferto quella fase (Pinocchio, la Sirenetta, il Brutto anatroccolo etc.), sarebbe stato al centro del progetto. Non potevo di certo pensare che tra i tanti nomi altisonanti che venivano ingaggiati, io potessi essere stato scelto proprio per inaugurare la collana. Mi venne affidato «Pinocchio», che ben presto divenne «Pinocchio e il capitolo che non c’era una volta» e ora capirete perchè: Non è mai stato nel mio stile riproporre qualcosa di già abbondantemente rivisitato e mi ritrovai con le spalle al muro e un gigante di legno dalle sembianze di burattino che sembrava intimarmi: «Voglio proprio vedere ora che t’inventi».

Mentire a se stessi non è mai bello, figuriamoci a uno come Pinocchio.

Passarono quasi due mesi in cui provai a scrivere innumerevoli versioni di una favola che non mi stava facendo sognare come avrei voluto, poi arrivò come sempre la mia fida alleata a salvarmi. Ricordo che ero nella sede della casa editrice e sbattei le nocche della mano sul tavolo, accusandomi di essere ‘una testa dura’, di non riuscire a trovare quel ‘gancio’ che mi avrebbe permesso di risolvere tutto, quando quel rumore accese in me l’ispirazione. Mi catapultai nel mio studio di registrazione in preda al delirio artistico.

Dopo aver letto la biografia di Collodi, mi balzò agli occhi che l’autore, volontariamente o meno, non aveva accennato a cosa Pinocchio provasse al momento della trasformazione. Cosa accadde quella notte?

Le nocche che sbattevano sul tavolo avevano riprodotto il suono di un cuore ancora di legno che incominciava a battere per la prima volta, così cominciai a programmare il suono del sangue che iniziava a defluire nelle vene, lo scroscio di acqua che cominciava a riempire il burattino, il crescere dei capelli, l’ammorbidirsi della pelle. Tutti gli elementi riproposti a livello sonoro, come delle onomatopee, davano libero sfogo ai sintetizzatori che da sempre mi accompagnavano. Scrissi il testo del libro, ma la cosa più bella e inaspettata ancora doveva accadere. Le illustrazioni del libro vennero affidate all’artista Cecilia Campironi, sotto la sapiente direzione artistica di un mostro sacro dell’illustrazione come Maurizio Ceccato, a cui l’Ifix fa capo.

Reclutammo circa quindici bambini dai sette ai dodici anni, che ogni sabato si riunivano presso la sede della casa editrice, trasformata per l’occasione in un laboratorio artistico.

Venne scelta la tecnica del collage. Intanto il mio testo veniva studiato dalla psicologa dell’età evolutiva Geggina Cassandra, così da portare sugli scaffali un vero e proprio gioiello, sia a livello grafico che di contenuti. «Pinocchio- Il capitolo che non c’era una volta» era realtà.

Da questo libro è stato tratto, con le musiche di Alberto Fiori e le animazioni di Maurizio Ceccato, un video, su cui, un altro piccolo genio, l’attore Leonardo Girolami ha prestato la sua voce:

Il libro venne presentato alla Fiera «Più libri più liberi» e successivamente in molte librerie italiane, riscontrando il consenso di pubblico e critica.

Guarda la conferenza tenutasi  all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Tengo a precisare che nessuna bugia è stata scritta.

Scrivo racconti perché l’attenzione scema, un libro di racconti brevi, ironici, dai finali spiazzanti.

Scrivo racconti perché l’attenzione scema, un esperimento socio-letterario per spingere il lettore più pigro a tornare a perdersi nelle pagine di un libro.

Dalla quarta di copertina di «Scrivo racconti perché l’attenzione scema»: – Ogni volta che ci viene detto: «Beato te che hai tempo di leggere», uno scrittore muore. Scrivo racconti perché l'attenzione scema di Alberto FioriNon volendo essere la prossima vittima di questa roulette culturale, l’autore coglie la sfida provando a comporre questa raccolta di brevi racconti, imprevedibili, dai finali bizzarri e mai scontati. Il lettore si ribellerà a una Storia di condominiale follia, tentando la sorte in un Parcheggio Titanico, segnerà di rovesciata come un vero Bomber, mentre starà pasteggiando un integratore vitaminico Facendo finta che fosse Fanta. Lotterà per una Palestrina Libera, sperando che non esca il 49. Farà il tifo per Rosalba, per il Colonnello Pasquini, si accorgerà che Otto Vite non basteranno probabilmente a Livietta per trovare l’amore. Tutto questo mentre L’uomo delle gomme lo starà osservando e non potrà far altro che dire: «Io non sono il diavolo». Alberto Fiori con uno stile fluido porta alle estreme conseguenze situazioni politiche e sociali negative.-

Perchè questo libro

Ogni mio gesto artistico nasce da un’esigenza interiore; una storia mi sceglie, cerco di capire il modo migliore per raccontarla, che siano note o parole e poi m’impegno al massimo per far sì che possa rendersi fruibile al maggior numero di persone. Con «Scrivo racconti perché l’attenzione scema» e lo ribadisco fin dal titolo, ho sentito l’esigenza non pretestuosa di andare incontro e non contro a questa tendenza che vede la nostra popolazione essere in quartultima posizione in Europa per numero di lettori.
Kafka diceva che «Un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi»; in questa era di scioglimenti climatici, ci accorgiamo che invece che quella lastra gelata galleggia indisturbata in molte persone, le quali, il più delle volte, si gonfiano il petto per questo loro clima interiore.
Comprendendo fin da subito che non ci si improvvisa scrittori, malgrado in rete sia pieno di tutorial che garantiscono di farti diventare il nuovo Calvino, ho tenuto fede al rapporto che semmai avessi voluto scrivere un libro ne avrei dovuti almeno leggere mille.
Lo ammetto, non sono arrivato a tanto, ma il vedermi spesso con un libro in mano, portava le persone che incontravo a dirmi: «Beato te che hai il tempo di leggere», come se l’atto in sé fosse sinonimo di vita ‘spensierata‘; così ogni volta mi ritornava in mente la frase di Woody Allen: «Leggo per legittima difesa».

«Letture apparentemente leggère per spronare i pigri a lèggere; il fatto che tra lèggere e leggère ci sia solo un accento di differenza, mi ha dato l’idea».

Se a partire da oggi una persona leggesse venti pagine al giorno, in un anno avrebbe letto: Moby Dick, Ulisse, Lolita, Guerra e Pace, Delitto e Castigo, Cent’anni di solitudine, Viaggio al termine della notte e tutti i racconti di Bukowski. Quella persona, tra un anno, sarebbe senza ombra di dubbio migliorata. Così mi sono detto: «Perché non scrivere un libro di racconti, apparentemente leggeri, dove nascondere in essi una morale che possa aprire un punto di vista diverso nel lettore». C’è una frase di Jonathan Swift che mi ha da sempre colpito: «Un uomo non verrà mai indotto con il ragionamento a correggere un’opinione errata che non ha acquisito ragionando»; con questo libro cerco in qualche modo di far ragionare anche il lettore più radicato, raccontandogli una storia apparentemente scanzonata.

«Se tra la parola LIBRO e l’essere LIBERO ci sia solo una lettera in più, non credo sia solo un caso. Leggendo ho imparato a farmi una mia opinione e a maledire le volte che ho seguito quelle degli altri »

Vivo gran parte delle mie giornate con le antenne dritte, cercando di captare le assurdità di questo mondo, per poi trasformarle in storie. In «Scrivo racconti perché l’attenzione scema» si parla di popoli oppressi e di muri che si innalzano, di ignoranza, di presunzione, di sogni, di futuro, di religione, di fanatismo, di guerra, di cattiveria, di famiglia, di mancanza di lavoro, di amore, ma ho cercato di  non far mai imbatterete il lettore in qualcosa di scontato, perché a mio avviso è proprio lì il segreto: un finale a sorpresa o colmo di poesia.

«Questo è un libro dove vivono quel tipo di personaggi che ognuno di noi può incontrare nella vita di tutti i giorni. Il filo conduttore che vi legherà a me che gli ho creati sarà proprio questo: Ma lo sai che pure il macellaio sotto casa mia è un Terminator?»

Non contento di questo, ho deciso di far diventare alcuni di questi racconti e tutti gli altri che scriverò nel tempo, qualcosa di fruibile in un formato audiolibro arricchito da sottofondi musicali, che porteranno lettore/ascoltatore, a vivere quelle parole con la musica che avevo pensato mentre le scrivevo. Sarà questa mia propensione a non discernere la sfera musicale da quella letteraria, ma noto poca distanza tra una chiave di violino e una di lettura. Mentre scrivo tengo sempre il tempo con il piede, le parole hanno un loro ritmo e io mi limito solo a fermarlo su pentagramma, regalando al racconto la musica che lo aveva in un certo senso accompagnato e ispirato. Il tempo ha caratterizzato molto «Scrivo racconti perché l’attenzione scema», tanto che alla fine di ogni racconto, ho riportato il numero di minuti che servirebbero per leggerlo. «Dura solo due minuti, non mi dire che non hai due minuti da dedicarti…».

Un passetto alla volta «Un passetto alla volta» di Alberto Fiori è un racconto nato per la nuova collana di Giulio Perrone Editore Affiori e inserito nell’antologia Cartoline romane

«Un passetto alla volta» racconta di un luogo insolito e nascosto di Roma, vicino a Campo de’Fiori, chiamato il Passetto del Biscione. Questo luogo segreto e meraviglioso ha fatto in modo che nascesse un detto romano tra i più usati dalle precedenti generazioni: «Che stai a cerca’ Maria pe’ Roma?» 

Qualche “non romano” o i puristi della lingua, storceranno un po’ il naso per questo mio uso del dialetto, ma sono sempre più convinto certe storie hanno un senso solo se raccontate con la veracità d’un tempo. Solo dopo aver letto il racconto, vi consiglio di farvi un giro (intanto) su questo bellissimo articolo scritto da Roma Segreta e che parla di questa perla nascosta della città più bella del mondo.

«UN PASSETTO ALLA VOLTA» di Alberto Fiori

«Vole fa lo scrittore, c’ha la testa der sognatore». Quante volte me so’ sentito dì che “Annavo cercanno Maria pe’ Roma“. Ma loro forse nun lo sanno che quando uno ce crede pe’ davero, Maria prima o poi la trova. Basta anna’ a via de Grottapinta a du’ passi da campo de’ Fiori e lì imbocca’ er Passetto der Biscione, che ar tempo de li romani collegava la cavea der Teatro Pompeo co’ l’esterno. Proprio lì un tempo c’era Lei, nascosta, raffigurata in un bellissimo dipinto. Perché chi c’ha davo ‘na passione, la strada pe’ arriva’ prima o poi la trova. Copyright© All rights reserved Tratto dalla raccolta «Cartoline romane»,  a cura di Alessio Dimartino per la collana Affiori di Giulio Perrone.

CARTOLINE ROMANE COPERTINA Cartoline romane è un’antologia di racconti voluta da Giulio Perrone Editore per la sua nuova collana Affiori

Gli elementi c’erano tutti: raccontare la mia Roma e farlo attraverso una collana che, visto il mio cognome, non si poteva fondare senza affidarmi almeno un racconto.

La collana Cartoline romane è a cura dello scrittore Alessio Dimartino (ha pubblicato per la Giulio Perrone editore i romanzi Il Professore non torna a cena (Giulio Perrone Editore, 2012) e C’è posto tra gli indiani (Giulio Perrone Editore, 2014), che la descrive in questo modo: «Una città sfuggente e impossibile da contenere in una sola storia. Amori, affetti, famiglia, solitudini, riflessioni e ricordi vibrano nel contesto di una Roma che è, di volta in volta, conforto, compagna ma anche nemica, poi di nuovo pura gioia ed eterno conflitto. Nell’insieme di questi testi si scoprono ricordi, piccoli avvenimenti, scorci inconsueti. Dal Colosseo alla Caffarella, passando per i quartieri più noti e quelli periferici, Roma prende vita attraverso le parole di autori che l’hanno vissuta in diversi momenti ma con lo stesso pensiero: sentirsi a casa». Personalmente ho voluto raccontare un luogo insolito e nascosto, perché Roma ha la capacità di stupire anche chi crede di conoscerla bene, qualcosa che si lega a un modo di dire che mia nonna usava spesso: «Lo so io che vole questo, sta a cercare Maria pe’ Roma». Quindi non vi resta che immergervi in questa brevissima storia, facendo però un PASSETTO ALLA VOLTA.

CANZONIERE DEI PARCHI ACQUATICICANZONIERE DEI PARCHI ACQUATICI di Alessandro Gori. Definirlo un libro di poesie è riduttivo, definirlo anche lo è, ma io proverò lo stesso a farlo, perchè come direbbe lui: “Mi (g)arba parecchio

L’autore di CANZONIERE DEI PARCHI ACQUATICI, Alessandro Gori, se lo conosci lo ami, altrimenti dici: «Non so chi sia» e fino a qui la questione è apparentemente ovvia (anche se poi sei costretto ad allontanarti da te stesso, come fossi un lettore di romanzetti da edicola).  

LA LENTE SU ALESSANDRO GORI alias LO SGARGABONZI

Dove bisogna andare a indagare è sulla schiera di discepoli che lo seguirebbero anche nel più sperduto locale del globo terracqueo nei suoi reading, unici nel suo genere e dal quale si esce arricchiti nell’animo. Poi escono di tanto in tanto i suoi libri, dove trovi testi inediti, storie che ricordi di aver ascoltato nei suoi live e inevitabilmente ti ritrovi tra le mani quelli che consideri dei veri e propri cimeli (anche perché graficamente sono delle opere d’arte, soprattutto da quando lo edita una certa Rizzoli Lizard). Già dai titoli ti viene voglia di dire: «Lo voglio nella mia libreria», infatti il suo precedente libro “Confessioni di una coppia scambista al figlio morente” lo trovate fieramente esposto nelle librerie casalinghe di chi è pronto a far raggrinzire le rughe dell’ospite di turno (ammetto che anche in treno qualcuno mi abbia guardato attonito vedendomelo tra le mani). Ora è il momento della poesia e l’Eccellentissimo Gori, dal suo seguitissimo profilo Instagram ci tiene a raccontarci del suo nuovo e attesissimo “Canzoniere dei Parchi Acquatici : logo sgargabonziLa fine di una storia d’amore segna l’inizio di una bruciante ossessione, quella del protagonista per Stefania, la donna che l’ha lasciato mettendolo di fronte all’abisso della sua mascolinità tossica. Ma in un moto di orgoglio, anziché fare un po’ di autocritica, l’uomo si abbandona a un flusso di coscienza composto da 137 riflessioni scorticate che, più che una raccolta di poesie, fa pensare all’autopsia di un amore in 137 episodi. In un crescendo parossistico, la voce di Gori si rifrange in un trascinante monologo a più voci, il canto del cigno di una personalità scissa che si frantuma in una serie di schegge impazzite, fino a ricomporsi in un mosaico di gloriosa bellezza“.       Davanti a cotanta descrizione sono stato costretto a correre dal mio libraio di fiducia chiedendo, come fossi un “tossico anni ’70 col baffetto” (non me ne voglia il buon Simone Avincola se gli ho rubato la connotazione goriana): “Che c’hai ‘na copia del Canzoniere” omettendo il resto del titolo. Quando l’ho visto tornare con una copia del Petrarca, l’ho invitato a crescere e a maturare la sua visione di Rerum Vulgarium Fragmenta, dato che da oggi sarebbe andato per la maggiore l’Acqua Parcum Fragmenta, comunemente conosciuto con il nome di «Canzoniere dei parchi acquatici». Scusandosi per l’accaduto e bofonchiando sterili scuse, tipo: «Ho fatto ragioneria e il latino non lo so», me ne sono andato stringendo tra le mani il nuovo esilarante libro di poesie dell’eccellentissimo Alessandro Gori.

foto alessandro gori

Poi tornato a casa e leggendolo con verace ingordigia, venni preso da un’irrefrenabile, anche se elementare aurea poetica, declamando i seguenti versi:

Canzonier dei parchi acquatici ci renderà tutti meno statici, di certo non acrobatici, ma di sicuro meno apatici e allora alzate i calici, come fanatici dei mari adriatici senza essere antipatici, ma di sicur più ludici.

Nota a parte meritano le meravigliose illustrazioni di Paolo Bacilieri, noto fumettista italiano.  

salsedine ortigiaSalsedine selezionato all’Ortigia Film Festival

Salsedine, il docufilm di cui ho curato le musiche con i Melatti è stato selezionato anch’esso (dopo «Grain-The portrait of Fabio D’Emilio») all’Ortigia Film Festival 2023.

Di cosa parla…

Il documentario Salsedine racconta un viaggio attraverso sei regioni italiane, ripercorrendo storie, tradizioni e culture legate ai mestieri del mondo della pesca. Suddiviso in nove capitoli, nei quali vengono esplorate le vite di persone che hanno dedicato e raccontando esperienze uniche e affascinanti. Prodotto da Twister Film, per la regia di Riccardo Stopponi, nel contesto del progetto di cooperazione interterritoriale tra FLAG italiani intitolato “Patrimonio Culturale Della Pesca” e promosso dai flag: VeGAL, Chioggia Delta Del Po, GAC FVG, Costa dell’Emilia Romagna, Costa di Pescara, Costa Blu, Costa dei Trabocchi, Marche Nord, Golfo degli Etruschi. L’opera ha il fine ultimo di promuovere la Pesca attraverso l’iter di candidatura come bene immateriale dell’Unesco (cit. https://www.pcpesca.it/salsedine-film/)

salsedine locandinaLa Salsedine sulla pelle

È proprio come quando esci dall’acqua e ti senti la salsedine addosso. Lavorare a queste musiche mi ha permesso di sentire questo progetto addosso per molto tempo. Imbattermi nelle storie di questi personaggi mi faceva venir vogli di prendere l’auto per andarli a conoscere e abbracciare. Quando si compongono le musiche per un film o un documentario, ecco che i protagonisti cominciano a far parte di te, forse perchè cucendogli addosso le note che ti hanno ispirato, diventano a loro volta un po’ come figli che hai vestito nel modo che ritenevi migliore. Dedico questo lavoro a mio nonno Ettore Melatti, originario di Fossacesia, patria dei Trabocchi.  

Logo Ortigia Film Festival 2023

Grain selezionato OrtigiaFilmFestival

«Grain» selezionato all’Ortigia Film Festival 2023. Il documentario, prodotto da Twister Film e del quale ho curato le musiche con i Melatti è stato selezionato da uno dei più importanti festival del cinema in Italia. È emozionante leggere quanto riportato sulla pagina ufficiale del festival, in cui si annuncia:

«Al via sabato 15 luglio con l’anteprima mondiale di Grain – portrait of Fabio D’Emilio, di Simone Valentini, incentrato sulla figura dell’iconico fotografo del rock.  Il regista e il fotografo Fabio D’Emilio presenteranno il documentario al festival. Negli anni Sessanta, nessuno in Italia scattava foto durante i concerti per le difficoltà tecniche, nessuno tranne Fabio D’Emilio che, grazie a un pass da giornalista, ha fermato con l’obiettivo centinaia di concerti di artisti immortali». GRAIN VERTICALEPer chi volesse ammirare GRAIN, è ancora in anteprima esclusiva e in forma totalmente gratuita (senza bisogno d’iscriversi) sulla piattaforma CHILI TV (cliccare qui per vederlo).

L‘Ortigia Film Festival quest’anno avrà come ospiti da Giuseppe Fiorello a Maria Grazia Cucinotta, da Donatella Finocchiaro, alla madrina della manifestazione Cristina Marino per arrivare al nostro Fabio D’Emilio.    

Alberto Fiori e Santiago Maradei - Firma contratto con la Bibliotheka EdizioniFirma del contratto con Bibliotheka Edizioni!

Se fossi stato un calciatore, al momento della firma del contratto, avrei detto: «Sognavo fin da bambino di vestire questa maglia. Ringrazio il presidente e l’allenatore per aver creduto fortemente in me e spero di ripagare l’amore dei tifosi sul campo». Visto che sono un scrittore, mi limito allora a dire: «Hanno editato i libri su Boris, mi basta questo, voglio firmare per loro». Poi che i miei ‘deliri letterari‘ gli siano piaciuti non è di certo secondario (i matrimoni si fanno in due, sempre che uno non sia di più ampie vedute) e allora eccomi qua, nella sede di Bibliotheka Edizioni, con l’editore Santiago Maradei, a firmare quel contratto che darà un senso agli ultimi due anni passati a scrivere, comporre, riprendere…(basta con gli indizi però). Ringrazio mio fratello Stefano, per avermi fatto conoscere questa splendida realtà editoriale e poi Gianluca Cherubini e Marco Ercole per aver creduto in ciò che scrivevo. Un grazie particolare a l’editor Carlo Paris e all’editore Santiago Maradei per sopportare i miei cambi di rotta. Infine alla mia personalissima squadra, formata da chi da sempre mi “corregge il tiro” (Lidia e Menotti su tutti). In fondo però ci sono tante somiglianze tra un calciatore e quella di uno scrittore: «Senza una buona squadra alle spalle, puoi essere chi ti pare, ma non vai da nessuna parte» e credo che con questi compagni, riusciremo a toglierci qualche soddisfazione. Ci saranno novità a breve  

Taccuino della pace - copertinaIl Taccuino della Pace è un piccolo spazio dove tanti scrittori hanno provato a raccontare, in pochissime parole, cosa sia per loro questo termine tanto ostile a certi potenti del mondo.

Il Taccuino della Pace, mi ha permesso di ribadire il mio concetto riguardo la guerra, quello che da sempre sogno è un mondo in cui i bambini ripudino le armi giocattoli, così da avere un giorno un mondo di disertori. Fino a quel momento, l’unica pace che possiamo pretendere è quella dentro noi stessi, perchè nessuno ce ne concederà un’altra. Minarla, nel vero senso della parola, sarà l’intento di chi scambia la voglia di pace per debolezza.

«Abbracciare per non imbracciare»

Ringrazio quindi Giulio Perrone Editore per aver pensato ancora una volta a me e avermi invitato a far parte di questa combriccola di sognatori, di gente che crede che la penna sia l’arma più potente in nostro possesso, perché racconta, non si ferma davanti a niente e lascia ai posteri le testimonianze di ciò che è accaduto realmente.

Al momento ci sono 59 guerre nel mondo

e ognuna di esse sembra non riguardarci più di tanto, a meno che qualcuno di noi non lavori in una delle tante aziende che producono armi e allora il discorso cambia. Ci chiameranno sognatori o artisti e per questo li ringrazio.

Il Taccuino della Pace lo si può acquistare a questo link  o nelle migliori librerie

GRAIN – Portrait of Fabio D’Emilio

GRAIN VERTICALE

 

Grain- Portrait of fabio D’Emilio è il racconto dell’inaspettata vita di un ragazzo che negli anni ’60-’70, mosso dalla passione per la fotografia e da quella per la musica, si ritrova quasi per caso a scattare foto ai concerti dei più grandi artisti dell’epoca. Dai Pink Floyd a Patty Smith, passando per Peter Gabriel, i Queen, Frank Zappa, Renato Zero, Franco Battiato e tanti altri, Fabio è riuscito a creare, così, quello che è ad oggi uno dei pochissimi archivi italiani esistenti del mondo musicale di quel periodo.

Personalmente ne ho curato le musiche e la produzione musicale

L’anima del ‘musitore’ torna prepotente e avvalendomi sempre del mio fido collaboratore di note basse Menotti Minervini, ci siamo rivestiti da Melatti e ritrovati a dover ricreare un suono che riportasse a quei gloriosi anni, senza rischiare il confronto con i mostri sacri che calcavano i palchi di quell’epoca. La title-track «GRAIN» è nata da una lista di termini fotografici che mi feci suggerire da Fabio, dando così vita a una sorta di scioglilingua sul quale composi una musica prog che riportasse alle atmosfere di quegli anni. Nelle canzone «MAKE YOU WAY», a chiusura del documentario, è cantata dalla bravissima Flaminia Lobianco ed è un inno ai giovani, a vivere la propria vita coltivando sempre una passione. Un progetto che ho amato fin dalle pirme note, in cui ho messo tutto me stesso, compresa la voce nelle parti cantate.

Ringraziamenti

Volevo ringraziare il regista Simone Valentini e il DOP Victorr Torrefiel Vicente, la Twister Film e naturalmente Fabio D’emilio. Quindi non vi rimane che collegarvi alla piattaforma CHILI LOGO CHILIdal 5 aprile. GRAIN sarà visibile GRATUITAMENTE (senza bisogno di loggarsi). Distribuito dalla Twister Film

Clicca qui per vederlo

Questo è un articolo uscito sul glorioso periodico PROG ITALIA e che racconta un po’ di questo progetto:

GRAIN ARTICOLO PROG ITALIA    

L'ultima parola copertinaL’ultima parola di Alberto Fiori è un racconto nato dall’incipit scritto da Romana Petri, incluso nella raccolta di racconti «Mai una tregua» (L’Erudita, 2022).

Quella che qualcuno esige ogni volta di avere alla fine di una discussione: «L’ultima parola». Come se l’averla ‘sputata’ addosso all’altra persona, tfaccia di te un vincente.

Dedico questo racconto alla memoria di Martina Scialdone, perchè scritto di getto dopo l’ennesimo femminicidio.

«L’ULTIMA PAROLA» di Alberto Fiori Era ormai tutto finito. Sembrava che anche il futuro appartenesse al passato. Si erano andati contro tutta la vita. Mai una tregua, cos’altro poteva succedere adesso? L’ultima parola è una brutta bestia, difficile da tenere al guinzaglio; nel volerla a tutti i costi si annidano le insicurezze di chi la esige. Carla questo lo aveva ben chiaro e al contrario di Marco, solitamente, dopo aver esposto le proprie tesi rimaneva in silenzio, aspettando che lui come sempre si sfogasse, si convincesse di avere ragione; per poi lasciarlo cuocere nel suo stesso brodo, come farebbe un pezzo di lesso, galleggiando insieme agli odori della sua stessa presunzione. Marco era quello che si dice ‘un tipo fumantino’, si accendeva come un ‘prospero’ e proseguiva a incendiare il mondo fin quando l’ultima parola non fosse stata la sua. Auto decretarsi vincitore di chissà quale ‘discussione a premi’ gli faceva credere di essere nel giusto. Dietro ogni persona si nascondeva per lui un ‘rivale’, il suo unico intento era quello di evidenziare la sua manifesta, anche se mai riconosciuta da nessuno, superiorità. Lo vedevi poi indossare la sua espressione più saccente, non rendendosi conto che rischiava di strappare schiaffi dalle mani di chiunque la subisse. Che tale comportamento nascesse da un fattore scatenante come un’infanzia difficile o esperienze di vita traumatiche, non era di certo un problema di Carla. Quando la madre di lui le diceva: «Ma lo sai come è fatto!», Carla alternava sempre due risposte, che andavano dal «Io so di cosa è fatto» al «Ma lei si è mai chiesta come sono fatta io?» Carla si era stancata di assecondarlo, di mordersi la lingua, di contare fino a dieci prima di dire una qualsiasi cosa, per paura che questa potesse in qualche maniera indispettirlo; averlo intorno era come essere costantemente sul banco degli imputati, davanti a un giudice di un tribunale campato in aria, capace di sentire solo sé stesso. Troppe volte aveva cercato di allontanare dalla propria pelle quelle bolle che le comparivano: «È una questione nervosa» le dicevano i dermatologi, ma l’unico unguento capace di farle sparire, era lo stesso che avrebbe fatto scivolare via Marco dalla sua vita. La sua analista aveva impostato la terapia sul farle comprendere che persone così non sono altro che metastasi per l’anima. Carla di questo si era convinta e aveva trovato, seduta dopo seduta, la forza per allontanarlo. Quando Marco fece finta d’incontrarla casualmente a pochi isolati dallo studio della psicologa, Carla sapeva che la cosa non aveva nulla di accidentale. Bastò quel «Lasciami stare!» digrignato, perentorio, diretto, per dare modo a Marco d’inalberarsi e questa volta afferrarla per i capelli. Bastò che lei gridasse e un passante, notata la scena, prendesse le sue difese. Bastò che Carla non s’impietosisse per il suo ex, mentre lo vedeva rotolarsi in terra. Bastò ringraziare il suo angelo custode, accettando di farsi riaccompagnare a casa, non prima di aver assicurato il suo passato alle Forze dell’Ordine. Anche in quel caso Marco riuscì ad avere l’ultima parola, un attimo prima che i poliziotti lo spingessero nella loro auto farfugliò qualcosa, come sempre. Copyright© All rights reserved Tratto dalla raccolta «Mai una tregua», da un incipit di Romana Petri edita da L’Erudita di Giulio Perrone.