Canzuncella

canzuncella copertinaCon «Canzuncella» chiedo pubblicamente che mi venga riconosciuta la cittadinanza napoletana.

Con ‘Canzuncella‘ volevo raccontare il mio amore per Napoli attraverso il più grande difetto che ho trovato nei napoletani che incontravo nei piano-bar di mezzo mondo.

Chi non è di Napoli e ama questa città come la amo io, dovrebbe avere un riconoscimento da parte del sindaco in persona, perché soffre di una patologia, come ‘n’appocundria che scuppia ogni minuto ‘mpietto’.

L’immenso Lucio Dalla diceva di Napoli: «Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse 200mila euro io me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni»

Napoli è così, o la ami o non l’hai mai conosciuta.

Personalmente la uso come argomentazione per dividere i buoni dai cattivi: se ami Napoli possiamo parlare di tutto, al contratrio, avremo poco da dirci. Se ancora non ci sei stato, mi offrirò volentieri per farti da guida e trovare una scusa per tornare. Ci sono due cose però che non mi vanno giù dei napoletani, la prima è che anche se tre quarti di quelli che incontri, Google Maps alla mano, abitano a 50 km da Piazza del Plebiscito, ti verranno sempre a dire di essere napoletani veraci, come se un reatino o un viterbese fossero romani doc. La seconda riguarda quello che vi sto per raccontare (tratto da una storia vera): Ps: a dire il vero ce ne sarebbe pure una terza, la nota vibrata in alcune ‘canzuncelle’, tenuta come nu’ lameeeeeeeeeent.

«Canzuncella»

Quando suonavo nei piano bar si avvicinava sempre qualcuno di Napoli a chiedermi una ‘canzuncella’. Così buttavo fin da subito le mani avanti: «Conosco pure Tuppe Tuppe Mariscià, ma non essendo napoletano, la pronuncia potrebbe non essere perfetta». «Ma nun statt a preoccupà, o’sacc chi tu non sii napulitan»: solitamente era questa la risposta. Intonavo allora un Resta Cummè di Murolo, per poi proseguire con un Reginella da applausi. Era quello il momento esatto in cui, ‘comm ‘nu dejavù’ il cliente si alzava dalla sedia, compiaciuto dall’atmosfera che la sua città aveva creato, per dirmi: «Si brav, cert però se sient che nun sii napulitan».

Il racconto è incluso nella raccolta UNA STORIA AL GIORNO edita da Affiori

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