Nonne Cecie crescono

COPERTINA NONNE CECIE CRESCONO«Nonne Cecie crescono» è una storia tratta dalla raccolta di racconti «Romolo e Remo», ispirati dalle ricette della tradizione romana.

Un viaggio vero e proprio, quello del ritorno a casa, s’incontra con un altrettanto viaggio, ma questa volta di natura culinaria. I vecchi sapori di una volta, tanto amati dalla nonna Cecia e tenuti a freno, dopo la sua scomparsa, dalla famiglia, tornano a riaffacciarsi nelle narici e sui palati delle protagoniste. Il ricordo che si risveglia grazie al sapore del passato.

«NONNE CECIE CRESCONO» di Alberto Fiori

Una settimana prima del grande ritorno, durante una videochiamata dalla lontana Australia, Sara aveva manifestato alla mamma e alle sorelle, di provare una particolare nostalgia per un piatto, che era solito preparare loro la nonna. «Comprendiamo la saudade come dicono i brasiliani, ma tu non stai bene» le rispose ridendo Chiara, sua sorella. Tutte pensarono che Sara stesse scherzando. Tutte, tranne la madre. Da quando Sara era partita per Sidney, a casa Lauretani le ‘piccole donne’, così amavano definirsi le sorelle, erano oramai cresciute, maturate, ma soprattutto scese a patti, o meglio a ‘piatti’, con la madre, liberandosi così da certi legami alimentari che le tenevano strette al passato. Nonna Cecia, scomparsa oramai da cinque anni, era stata una donna dal carattere autoritario, per non dire dispotico; romana verace da sette generazioni, con la battuta sempre pronta e una propensione a seguire unicamente il ricettario capitolino, come da tradizione. In pratica, le ragazze erano cresciute senza troppe smancerie e a trippa al sugo e coratella, abbacchio alla scottadito, rigatoni con la pajata. Il reazionario passaggio al quasi vegetarianismo, dopo la dipartita della nonna, era stata più una reazione che una scelta vera e propria di vita. Ora il passato si stava però reincarnando. La mamma sentenziò che per quella domenica il menù era stato già deciso. Sapeva in cuor suo di aver preso la palla al balzo, era lei ad avere il desiderio di gustare di nuovo quei sapori oramai banditi e nulla l’avrebbe fatta desistere. «Mica vorrete far ritornare Sara in Australia con la voglia?» chiese la madre. «Le venisse pure la voglia, ma a forma di koala!» rispose Anita tra il serio e il faceto. L’indomani, la mattina si aprì con un perentorio «Bando alle ciance e organizziamoci!» tuonato dalla madre, che proseguì: «Io penso al broccolo e a un buon secondo da affiancare, voi invece ve ne andrete con la lista dal Sor Giovanni. Lui saprà cosa farci». «Aho, mamma si trasformando nella nonna» disse Anita alle sorelle «Speriamo non le crescano pure a lei i baffi da tricheco». Quando le tre ragazze entrarono nella bottega del Sor Giovanni, porgendogli la nota, avvertirono in lui la commozione attraversare le sue parole: «La Sora Cecia sarebbe orgogliosa de voi, belle che siete, la minestra de broccolo alla romana era ‘na specialità della bon’anima de’ vostra nonna. Mannaggia a voi, io so’ sensibile a ‘ste cose, me fate singhiozzà». Ritornate a casa, si misero tutte ai fornelli. Verso le 13:00, la «cangurotta di mamma» fece il suo avvento, strappando inevitabilmente lacrime di commozione a tutte. Una volta posati i bagagli ed essersi data una rinfrescata, arrivò in cucina, richiamata da un odore proveniente dal passato. «Mamma, ma mica avrai fatto la minestra di broccolo?» chiese con la paura negli occhi. «Amore mio, ma se sei stata tu a chiedermela l’ultima volta, non ricordi?». «Ma io scherzavo!» rispose arresa Sara. «Classico humor australiano» s’intromise Anita, divertita dalla situazione. «E adesso che ci dovrei fare con tutto questo ben di Dio?» rispose piccata la madre. «Ho un’idea. Stasera, mentre noi ce ne andiamo al cinema, tu puoi invitare il Sor Giovanni con la moglie, così vi farete una bella cenetta a base di minestra di broccolo e parlerete di quanto era brava in cucina Nonna Cecia. Che ne pensi?» propose Chiara senza andare troppo per il sottile. Mentre la mamma si sedeva affranta al tavolo della cucina, Sara, non tanto impietosita, quanto addolorata per ciò che si era andato a scaturire da quella sua battuta, prese il mestolo e si versò un piatto di minestra, sedendosi a tavola e cominciando ad assaporarla. Le altre ragazze, colpite dal gesto della sorella maggiore, fecero altrettanto; si accorsero così che quel sapore le stava davvero riconciliando con un legame impossibile da cancellare. Dopo tre di bicchieri di vino, la madre, visibilmente alticcia, disse «Propongo di dedicare un giorno al mese al ricordo di vostra nonna, cucinando i suoi piatti!». «A me me basta che me fate di’ ‘na Messa!» rispose Chiara, imitando alla perfezione sia la voce che il modo di scherzare della nonna. Quel pranzo se lo sarebbero portate dentro per il resto della loro vita. In quanto al Sor Giovanni, la sera le ‘piccole donne’ gli suonarono alla porta di casa, regalandogli un pentolino di minestra di broccolo come la faceva la Sora Cecia, perché il ricordo è di chi se lo sa meritare. Copyright© All rights reserved Tratto dalla raccolta «Romolo e Remo»,  a cura di Patrizia Cesari, Prof. Antonio Mistretta e Flavia Pantaleo, edita da L’Erudita di Giulio Perrone.
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