
Se l’avevano già scontata tre volte, ci sarà stato un motivo?
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Non c’è niente da fare, certi traumi non si superano mai; mi è bastato vedere la foto di un bambino vestito da Pontefice, piangere disperato tra le braccia del Santo Padre, per riaprire in me vecchie ferite.
Avrò avuto dieci anni, un mio compagno di scuola aveva organizzato la più classica delle feste di carnevale, naturalmente in maschera. Nonostante mia madre me la fece provare, quella da marziano che mi avevano comprato a sei anni, non mi stava davvero più, le maniche che mi arrivavano ai gomiti, i pantaloni alla zuava… Era arrivato il momento di prenderne una nuova.
Al tempo, c’era un negozio sull’Appia dove ne vendevano per tutti i gusti e io che nel tragitto, fantasticavo sul vestirmi da Actarus, il pilota di Goldrake, mai avrei immaginato cosa stava per accadermi.
Spendere del denaro per qualcosa dì superfluo che avrei usato una volta l’anno, non andava giù a mio padre, figlio a sua volta di una mentalità che portava al risparmio sempre e comunque, anche se non ce la passavamo poi così male.
Entrati nel negozio, le maschere esposte in vetrina andavano ampiamente fuori il budget che mio padre mi aveva più volte ripetuto, come fosse un mantra, per tutto il percorso:
«
Non più di quindicimila lire, hai capito? Non più di quindicimila lire, hai capito? Non più di quindicimila lire, hai capito? »
Chiesto aiuto alla commessa, anche lei si ritrovò spiazzata dal poco budget messo a disposizione e la ricordo andare in giro per il negozio dicendo:
«
Non più di quindicimila lire e che gli do a ‘sto ragazzino? Non più di quindicimila lire e che gli do a ‘sto ragazzino? Non più di quindicimila lire e che gli do a ‘sto ragazzino?».
Poi a un certo punto la vidi tornare con un sorriso stampato sul volto di chi aveva fatto il miracolo. Una scatola bianca tra le braccia, con una foto stampata sopra che mi fece nascere sul volto la stessa espressione disinteressata di un cane che, guardando altrove, fa finta di non capire che quella medicina sia per lui.
Mia madre, quando vide quell’immagine, mostró un sorriso a centocinquantadue denti; aveva visto tutte le puntate. «
Lo vedi che piace pure a mamma? Perché non te la provi?» dissero sia la commessa, che mio padre, soddisfatto del prezzo scontato per ben tre volte e riportato sulla scatola.
Una volta indossata la mirabolante maschera, lo sguardo da cane rifece capolino, ma questa volta, perché mi sentivo come un mastino napoletano col cappottino rosa shocking e il guinzaglio di finti diamanti, tenuto da un energumeno palestrato. Mia madre si mise le mani al cuore ed esclamò: «
È uguale a Richard Chamberlain», perché la maschera era quella da Padre Ralph di Uccelli di Rovo, la nota serie tv che fece scalpore all’inizio degli anni ‘80 e che narrava della peccaminosa storia d’amore tra un aitante prelato e una delle sue parrocchiane.
Immaginate ora la faccia dei miei compagni di classe, quando entrai vestito da prete, o meglio da arcivescovo, visto che la maschera si rifaceva alla terza stagione, quando Padre Ralph aveva fatto carriera.
Alla fine, tra una finta benedizione e una goliardica alzata di tonaca, risultò essere ben accetta dal gruppo, anche per i successivi sei anni, fin quando le maniche mi arrivarono ai polsi e la tonaca si fece quasi minigonna.
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Per correttezza allego foto presa da Google, fonte non tanto d’ispirazione, quanto di ferita ancora aperta:
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