Il verso del cinghiale

Mentre nei centri urbani scorrazzano branchi di cinghiali in cerca di cibo, in un paesino sperduto, un ragazzo trova lavoro e amore in un ‘colpo solo’.

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  Cercavo lavoro, il posto fisso? Una panacea. Avevo inviato centinaia di curriculum senza ricevere alcuna risposta. Vedevo tutto nero. Quel pomeriggio, l’amico di mio padre, noto cacciatore della zona, impegnato nei soliti discorsi da bar, asseriva che quelli che sparano agli uccelli sono più avvantaggiati, perché hanno quei fischietti che riproducono il cinguettio delle varie specie. «Datemi un richiamo per cinghiali e vi faccio vedere io quanti ne prendo!», disse accorato, dopo essersi scolato mezza bottiglia di Fernet Branca. Poi gli altri cominciarono a fare battute volgari sulla moglie di Ernesto, il cornuto del paese e sul fatto che lei avesse una predisposizione particolare al richiamo dei volatili. Dopo un paio di pensieri peccaminosi rivolti alla signora, come un flashback mi ricordai che da bambino sapevo imitare bene i versi di molti animali ed emisi per scherzare il grugnito del cinghiale. Fu un vero successo, applausi scroscianti, tanto da farmelo ripetere così tante volte da rimanere quasi senza voce. Da quel momento l’amico di mio padre, entusiasta della mia imitazione e provato dall’ennesimo bicchiere, mi chiese di seguirlo nelle sue battute di caccia, che noi due insieme avremmo fatto faville. Altro che la moglie di Ernesto. La paga era buona, cento euro per ogni cinghiale preso. Dopo poche settimane, avevamo messo in piedi, quella che l’amico di mio padre definiva: «Un’associazione di stampo cighialesco». Finalmente potevo manifestarmi a Lorella. Ero da sempre stato innamorato di lei e ora che avevo un posto di lavoro, avrei potuto farmi coraggio e iniziare a corteggiarla. Con la mente correvo troppo e già mi immaginavo il giorno in cui le avrei chiesto la mano. Nel mio nuovo lavoro ero il migliore, non conoscevo concorrenza, anche perché probabilmente ero l’unico al mondo. Il futuro mi sorrideva, anzi mi grugniva. Il mio pensiero fisso però era sempre Lorella, mi faceva impazzire, pensavo sempre a lei, giorno e notte, ovunque io fossi, qualunque cosa facessi. Forse il problema fu proprio quello. Una mattina ero appostato come sempre dietro un cespuglio a emettere i soliti versi da richiamo, mentre l’amico di mio padre sarebbe stato pronto a sparare non appena gli avessi messo la bestia a tiro. Il processo era oramai consolidato. Io non so esattamente cosa dissi emettendo quel grugnito, ma ammetto che mi uscì diverso, più dolce, come se provenisse dal profondo; forse perché stavo pensando proprio a Lorella. Fu probabilmente quello il fattore scatenante. Mi ritrovai il cinghiale alle spalle che iniziò a sopraffarmi, insomma a fare i suoi ‘porci comodi’; pur volendo non riuscii a esimermi dal sottostare alle sue volontà animalesche. Ci misi qualche giorno a riprendermi, ma qualcosa in me era come mutato; mi convinsi che il mio saper riproporre quel verso così fedelmente, non era altro che un legame con qualcosa di già vissuto, magari in vite precedenti. In paese intanto la voce si era sparsa ben prima che l’animale avesse terminato le sue pulsioni, ma quella volta li fregai tutti sul tempo, perché le malelingue vanno combattute con qualcosa di spiazzante, che sia più grande di loro. Ero cambiato nel profondo e volevo che il mondo intero lo sapesse; m’immaginavo ospite di talk show televisivi a spiegarne le ragioni, in prima pagina sui rotocalchi a ‘setole’ rosa. Per prima cosa dissi a Lorella che non la volevo più vedere, all’inizio perché mi vergognavo, poi perché compresi che l’unica cosa che amavo era non era più lei. Mi feci vedere in piazza da tutti, mano nella zampa con il cinghiale al guinzaglio, che avevo vestito per l’occasione con un papillon rosso. Perchè io amo il mio lavoro, quanto lui ama me. Copyright© All rights reserved
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