«Guerra all’anima sua»

GUERRA ALL'ANIMA SUA racconto inedito di Alberto Fiori

Una famiglia di grandi imprenditori nasconde un segreto che sta per essere svelato. Dove può portare la sete di denaro, il nepotismo, un’ideologia politica tanto stantia, quanto deleteria? Un racconto nato dall’incipit della scrittrice Nadia Terranova per la raccolta «Una Famiglia Guasta» (Ed.L’Erudita).

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GUERRA ALL’ANIMA SUA

Come tutte le famiglie, anche la mia era guasta. L’ultima volta che ci vedemmo tutti insieme era a cena, e la mancanza di uno solo di noi, quell’unica sedia vuota condizionava come al solito tutto il resto. Non tanto con le parole, era piuttosto quello che non ci dicevamo a essere ossessivamente presente nella stanza“. Mattoni fatti di omertà e nepotismo, strana amalgama con cui erigere le fondamenta di una famiglia. Mi ha sempre fatto ribrezzo il quadro su cui era raffigurato l’albero genealogico: come frutti appesi, quando sarebbe stato più realistico vederci raffigurati in terra, perché marci fin dal primo germoglio! Da quella sera la sedia di Guido Maria sarebbe rimasta vuota per sempre. Solo mio cugino Arnaldo si divertiva a dire che il fratello aveva “invertito” anche il nome, mimando il gesto delle virgolette, stuzzicandosi poi il lobo dell’orecchio. Lui era un anello di questa catena, buona giusto per essere agganciata allo sciacquone di un bagno pubblico intasato. Il prodotto di un pensiero patriarcale impresso da quell’anima pia di mio nonno: la discendenza come primo requisito, ma soprattutto l’essere maschio. Il timone manovrato con l’uccello. La morte di Guido Maria venne metabolizzata all’istante: figlio fallato incapace di arginare le sue derive; il dito puntato su mia zia, rea di averne strumentalizzato la crescita a immagine e somiglianza di quella femmina, sempre voluta da lei e mai concepita. Fu in quel momento, tra il primo e il secondo, che interruppi le inappropriate teorie di mio nonno riguardo il nuovo corso dell’azienda. Salii sulla sedia, in modo che le parole tuonassero dall’alto, dando l’impressione di arrivare da dove Guido Maria tentava di perdonarci. Presi un lungo respiro, benché l’atmosfera fosse rarefatta: «Credevate che Guido Maria fosse l’unico diverso della famiglia, il deviato? Ci sono anche io, ma aspettate a trarre conclusioni, non sono qui a dirvi che un secondo componente della prestigiosa casata è affetto da quello che voi, a cavallo del ventunesimo secolo, reputate sia ancora una malattia da cui si possa guarire. Io sono diverso, ma da voi. Mentre gli scioglievano il cappio dal collo, anche io mi liberavo. Il nonno ha iniziato la carriera sulle carcasse di persone perseguitate grazie alle sue segnalazioni; con i soldi fatti, ha fondato questa azienda continuando a sfruttare le vite dei lavoratori. Anche lo zio si definisce imprenditore, quando è solo un prenditore, capace al massimo di farsi trovare sempre sulla traiettoria di un guadagno di cui non hai mai deciso una virgola. Tu zia, dovresti essere con me, in piedi sulla sedia, a rivendicare il fatto che Guido Maria era il figlio più dolce di questo pianeta, perfetto contrappeso per riequilibrare una bilancia che vede sull’altro piatto il tuo primogenito Arnaldo. Invece rimani stretta nel pugno di tuo marito, nella paura che ti faccia tornare a essere la sempliciotta di una volta, che dalla periferia più estrema si spingeva in quei locali notturni, nella speranza di incontrare il principe azzurro a cavallo di una fuoriserie. Voi miei cari genitori, vi capisco; adesso si è andato innescando un cortocircuito non da poco: difenderete vostro figlio o proteggerete la famiglia dalle parole infamanti dello stesso? Si dice che le malattie ereditarie saltino una generazione. Quanto di più sbagliato, almeno in questo caso. Com’è che dicevate? «Arnaldino è spiccicato al nonno». Crescendo, ogni atteggiamento non faceva altro che avallare tale tesi. Quello insignito per portare avanti il carrozzone, allenato ogni giorno come un cane da combattimento. Vedo che lo zio rimane in silenzio, gli conviene farlo: un posto da direttore marketing, una villa sull’Appia. Tua moglie chiedeva a Guido Maria di spazzolarle i capelli ogni sera, perché voleva ritrovare in quel gesto quella donna annientata anni prima. Guido Maria, la sera prima era con me, avevamo cenato insieme a casa mia. L’indomani trovai un foglietto in cucina, quando oramai era troppo tardi: Il nonno violentò la mamma il giorno delle nozze, Arnaldo è suo figlio. Addio. In Guido Maria era racchiuso tutto questo, un fardello colmo di dolore che cambia la postura, ti sfianca e alla fine ti uccide, come accadde alla nonna». Era il momento di tornare con lo sguardo sulla tavola, sarei dovuto scendere da quella sedia e pagare care le mie affermazioni. Come se avessi recitato la poesia di Natale, mio nonno accennò un applauso lento, risonante, invitandomi a tornare seduto in maniera composta. Mio zio propose un brindisi alla mia salute, mentre mia zia pensava a servirgli le patate nel piatto; i miei genitori erano entrambi con lo sguardo sullo schermo del cellulare, qualcosa li faceva ridere più della figura che avevo appena fatto. Arnaldo si stava ingozzando. In quel momento compresi l’insano gesto di Guido Maria, stanco non di lottare contro i pregiudizi, bensì arreso alla più violenta delle farse familiari. La tavola affollata di tanti Giuda da quella sera avrebbe avuto due sedie vuote, poveri cristi e redenti non erano i benvenuti. Spezzate le vite, invece dei pani! Qualcuno passa, facendo sì che i fiori siano sempre freschi, pulisce con cura i marmi, toglie le ragnatele, perché le apparenze sono una lapide da tenere in ordine. Copyright© All rights reserved
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