«La mia amica salutista»

LA MIA AMICA SALUTISTA racconto inedito di Alberto Fiori

Se anche tu conosci qualcuno che non fa altro che puntarti il dito contro per le tue scelte alimentari, per il tuo errato stile di vita, per non informarti correttamente, questo racconto ti sarà d’aiuto.

Tempo di lettura: 5 minuti

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LA MIA AMICA SALUTISTA

Ho nostalgia della mia amica salutista, mi manca tanto. Tutto mi riporta a lei. Le bacche di Goji per esempio, c’era un periodo che le nominava sempre. Le avrebbe usate per sconfiggere ogni male nel mondo. Per non parlare dello zenzero, lo zenzero era la rivoluzione, zenzero ovunque! Ricordo ancora il fidanzato andare in giro a gambe larghe, dopo essersi fatto un bidet a casa sua. Il termine bio riusciva a infilarlo in qualsiasi contesto, tanto da farci odiare tutto ciò che fosse sano e far nascere in noi la voglia di nutrirci esclusivamente con barattoli di sugna. Per non parlare del periodo «Ti vedo nervoso, hai provato con i Fiori di Bach?»: anche se la tua ragazza ti aveva appena tradito con il tuo capo, convincendolo poi a licenziarti. Ogni volta che ci invitava a cena era una gara a chi s’inventava la scusa migliore; messi con le spalle al muro, avremmo usato la nostra arma segreta: sfondarci prima al Mc Donald. Me la immaginavo quando andava a fare la spesa: «Mi scusi, mi dia una confezione di kombu, una di tempeh, poi un po’ di mopur, una vaschetta di muscolo di grano e una di agar agar, un po’ di nori e mi raccomando il topinambur». Il momento topinambur ancora non le era passato, un toccasana contro i radicali liberi e i problemi di stitichezza. Come lo cucinava lei, infatti faceva cagare! Vedeva complotti ovunque, così mi divertii una volta a dirle che mi sembrava strano che quel topinambur avesse un nome così particolare. La volta successiva rincarai la dose, dicendole che avevo scoperto una correlazione tra la lobby farmaceutica e quella delle derattizzazioni e che il nome del loro progetto era proprio «Operazione topinambur». Carne di ratto passata per tubero. Una volta, mi ricordo, l’accompagnai al supermercato, fu un’esperienza mistica; era capace di stare mezz’ora a controllare l’etichetta di ogni prodotto alimentare, confrontarla con delle app che aveva sul cellulare e nel dubbio, aspettare la risposta di qualcuno dai blog su cui s’informava. Vedeva metalli pesanti ovunque. «Ma sei pazzo? Mica ti vorrai cibare di queste schifezze?» «Da quando in qua le patatine gorgonzola e speck fanno male?» Ricordo i suoi vestiti fatti di canapa, i suoi capelli lucidi, lavati con intrugli a base di bicarbonato e alghe, le sue scarpe eco-friendly, che se le toglieva, tanto friendly non era. Per non parlare della sua ossessione per il riciclo, asseriva che ogni cosa doveva essere rigenerata; fondamentalmente, quando andavamo in bagno a casa sua, guardavamo con una certa apprensione il rotolo di carta igienica. Aveva anche il suo punto debole, perché tutti in fondo ne abbiamo uno: fumava come una ciminiera; passava le ore a rollare sigarette fai da te e quando qualcuno cercava di farle notare la sua incoerenza verso uno stile di vita sano, cominciava a elencarti tutti i materiali di cui era composto il filtro, la cartina, il tabacco che usava, come se questo la potesse scagionare. Altro tallone d’Achille era la sua forma fisica, non che fosse grassa, anzi, ma l’ultima volta che aveva fatto dello sport era in quinto liceo. Un paio di anni fa aveva provato per un breve periodo a praticare yoga, il tempo di alienarci le giornate con la ricerca del mantra, del chakra, dell’asana, del tantra, del t’entra, del saluto al sole e salutame a soreta e abbandonare il tutto, affermando di aver letto che in realtà, nella fase della respirazione, si inalano troppe emissioni di CO2. Secoli di teorie rimessi in discussione da un presunto pennivendolo di un blog per fortuna sconosciuto. La fase «Ho letto che…» era stata da sempre una costante della sua vita; bastava un momento di silenzio in una qualsiasi discussione, perché lei entrasse a gamba tesa con uno dei suoi aneddoti; in altri periodi invece, ripeteva in continuazione il termine vegano, tanto che una sera ci mettemmo a contare le volte che era stata capace di infilarlo in un discorso di quattro minuti scarsi: sette! In realtà alla mia amica salutista non le importava di me e nemmeno degli altri, questo lo avevamo capito; lei pensava solo a se stessa e a promuovere il suo stile di vita, cercando nuovi adepti, manco lavorasse per un’associazione a delinquere di natura piramidale. Lei asseriva di voler vivere a lungo e noi tutti ce la immaginavamo a centododici anni, intervistata da La Repubblica, come la donna più longeva d’Italia. Sola al mondo, rinchiusa in uno ospizio, a importunare i presenti con le sue teorie: «Ho letto che la prostata andrebbe curata con le genziane. Che ricordi! A Genzano conoscevo un vegano…». Invece no, la mia amica salutista purtroppo è morta l’altro giorno, schiacciata da un pianoforte caduto dal decimo piano di un palazzo. Era lì ferma, davanti al suo negozio preferito di prodotti a chilometri zero, che assaporava un ravanello. È stato un attimo. Quando il medico legale arrivò sul luogo dell’incidente, vedendo il sangue sull’asfalto, non poté trattenersi dall’esclamare: «Che peccato, guardate che sangue dal colore intenso e deciso, questi globuli mai visti così rossi, per non parlare del pancreas, perfetto come quello di un bambino…». Copyright© All rights reserved
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